L’analisi
delle perfomance produttive
(quadro teorico e strumenti di analisi)
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1. La produttività
e l’efficienza: problemi di definizione e di metodo *
1.1 Produttività
ed efficienza *
1.2 La
misura statistica della produttività *
1.3 La
misura statistica dell’efficienza *
2. La metodologia FDH *
3. La metodologia DEA *
1. La produttività
e l’efficienza: problemi di definizione e di metodo
1.1
Produttività ed efficienza
Nella letteratura economica e
statistica i termini produttività, efficienza
e progresso tecnico sono sovente utilizzati come
sinonimi; in realtà essi denotano concetti
diversi e diverse sono le indicazioni che possono
essere tratte dalle rispettive misure empiriche.
È allora necessario sottolineare le differenze
tra questi concetti e i rispettivi ambiti di applicabilità.
Nelle analisi micro e macro economiche il concetto
di produttività viene solitamente usato
per indicare il rapporto esistente tra la quantità
del prodotto ottenuto e il volume di uno o più
input richiesti per la sua produzione; il risultato
costituisce una misura della capacità dell’organizzazione
economica studiata di trasformare risorse in prodotti.
Sia a livello aggregato che da
un punto di vista microeconomico esiste un forte
legame tra prodotto e fattori produttivi, così
che a variazioni nella quantità degli input
corrispondono variazioni nella quantità
output. È probabile, però, che la
variazione percentuale del prodotto sia diversa
da quella dei fattori; ciò è dovuto
alla presenza di numerose circostanze quali economie
di scala, sostituibilità e relativo grado
di complementarietà tra i fattori, cultura
e esperienza delle forze di lavoro, capacità
della classe dirigente, economie esterne e altre
ancora che, intervenendo nel processo produttivo,
con diversa intensità, determinano l’assenza
di una rigida proporzione tra output e
input.
Tutti questi fattori, invece,
dovrebbero essere considerati dei veri e propri
fattori di input e, come tali, inseriti
nella funzione di produzione; tale circostanza
è, allo stato delle cose, irrealizzabile
sia pe r le difficoltà inerenti la misura
delle componenti sopra ricordate, sia per l’impossibilità
di individuare e ponderare tutti i fattori che
intervengono in un processo produttivo.
Una volta ottenuto un valore
che rappresenta una misura della produttività,
la sua interpretazione economica si rende possibile
solo dopo aver raggiunto un’approfondita conoscenza
della natura e dell’influenza dei vari fattori.
L’efficienza può essere
definita come grado di aderenza del processo di
produzione osservato ad uno standard di ottimalità.
Assumendo come standard la frontiera di produzione,
ovvero considerando efficienti quei processi che
si trovano sulla frontiera dell’insieme di produzione,
una misura del grado di efficienza può
ottenersi facendo il rapporto tra l’output
del processo di produzione osservato e l’output
che può ottenersi, dato lo stato attuale
della tecnologia, da quel processo che impiega
le stesse quantità di fattori in modo efficiente.
1.2
La misura statistica della produttività
Si possono ottenere misure di
produttività sia a livello macroeconomico
che micorecnomico utilizzando di una copiosa letteratura
statistico-economica di base.
In genere le analisi condotte
ad un forte livello di aggregazione, come quello
settoriale, hanno l’obiettivo di inquadrare il
problema in termini macroeconomici per poter effettuare
significativi confronti tra i diversi settori
dell’economia a livello nazionale e internazionale.
Tale analisi è, però,
ovvio che proponga e renda necessario, date le
forti differenze esistenti tra i livelli di efficienza
e le caratteristiche operative delle aziende operanti
in ogni settore, una integrazione di informazioni
ottenibili solo dall’analisi micoreconomica del
problema. Per questa via verranno così
affiancati ai dati relativa all’andamento della
produttività in termini di media, anche
quelli in termini di varianza dei livelli e dei
tassi di crescita della produttività in
aziende diverse, rispetto al valore medio del
settore.
L’analisi microeconomica consente,
poi, alle singole aziende di fare significativi
confronti spazio-temporali con le altre operanti
nello stesso settore e, applicando gli stessi
metodi ancora più a livello analitico,
al loro interno di fare comparazioni ta le diverse
unità operative.
Riassumendo le posizioni teoriche
più rilevanti, per ottenere informazioni
sulla produttività si può ricorrere
a:
- Indici di produttività parziale
dei fattori. I metodi di misura più
semplici si basano sul concetto di produttività
parziale dei fattori, cioè sul rapporto
tra la quantità prodotta ed uno solo
dei fattori produttivi utilizzati, oppure su
quello tra un aggregato di output e uno dei
fattori produttivi. Si ottiene così la
produttività del lavoro, la produttività
del capitale, dei produttori intermedi, delle
materie prime. La struttura di tali indici prescinde
dall’aver affrontato il problema dell’identificazione
di una forma funzionale, più o meno flessibile,
in grado di spiegare congiuntamente il raggiungimento
di una certa quantità di prodotto partendo
da una certa combinazione di fattori produttivi.
Questa circostanza rende tali indici non adatti
a tenere conto di eventuali fenomeni sostitutivi
tra input, inoltre la loro semplicità
di calcolo non raramente si trasforma in una
scarsa attendibilità dei risultati o
in una non soddisfacente rappresentazione della
realtà.
- Indici di produttività globale o
totale dei fattori. Dai limiti insiti nella
significatività degli indici di produttività
parziale dei fattori discende la necessità
di ottenere misure più precise del fenomeno
oggetto di studio da indicatori che tengano
conto contemporaneamente di tutti gli input
utilizzati, dei loro legami e delle loro
combinazioni. Questo problema è tanto
più urgente quanto più si accentua
l’effetto sostitutivo tra capitale e lavoro.
Gli indici di produttività globale o
parziale dei fattori sono ottenuti rapportando
il prodotto (o l’insieme dei prodotti nel caso
di produzione congiunta) all’insieme dei fattori
produttivi impiegati. Se da un lato questi indici
risolvono alcuni problemi legati alle misure
parziali, dall’altro ne aprono altri connessi
alla necessità di reperire dati attendibili,
problemi relativi alla definizione esatta di
funzione di produzione, ai problemi relativi
alla scelta dei metodi più opportuni
per effettuare l’aggregazione dei diversi input
e, nel caso di produzione congiunta, dei vari
output.
1.3
La misura statistica dell’efficienza
Indicando l’insieme delle possibilità
di produzione, ovvero l’insieme dei processi di
produzione realizzabili, date le caratteristiche
della tecnologica con:
noi possiamo discriminare al
suoi interno tra i processi produttivi efficienti
e quelli che non lo sono: un processo produttivo
sarà efficiente se non è possibile
ottenere la stessa quantità di un output
da esso prodotta utilizzando una quantità
inferiore di input. L’insieme die soli
processi produttivi efficienti viene sintetizzato
dalla funzione di produzione, che quindi viene
ad indicare, per ogni quantità dei fattori
produttivi, la quantità massima di prodotti
ottenibile. La funzione di frontiera appare così
come una frontiera tra ciò che è
tecnicamente possibile e ciò che non lo
è.
In sintesi si può affermare
che per misurare l'efficienza occorre fare riferimento
ad un insieme di aziende che costituiscono l'insieme
rilevato empiricamente delle aziende che ottimizzano
i risultati del processo produttivo aumentando
l'output e diminuendo gli input e misurare l'efficienza
come distanza per ciascuna azienda da questo insieme
di aziende. I metodi di cui presentiamo nelle
prossime schede i presupposti teorici e gli sviluppi
tecnici che abbiamo utilizzato per le elaborazioni
del presente rapporto assolvono a questo punto
secondo vari punti di vista.
2.
La metodologia FDH
La sola ipotesi alla base del
metodo FDH (Free Disposal Hull), proposto in letteratura
dall'articolo di Deprins, Simar, Tulkens (1984),
la frontiera di produzione di un insieme di imprese
è definita come il limite dell'insieme
della libera disposizione dei dati di input e
di output definito in letteratura come "Free Disposal
Hull". Questo metodo non dispone di forti ipotesi
a priori sulla convessità dell'insieme
degli input, come avviene nell'approccio DEA o
sulla funzione di produzione sottostante il processo
produttivo come nell'approccio econometrico.
In sintesi questo metodo considera
inefficienti tutte le osservazioni che hanno come
caratteristica il fatto che si possono trovare,
nell'insieme delle osservazioni considerate, osservazioni
più efficienti, nel senso che, di volta
in volta, vengono prodotte quantità di
output superiori con l'impiego di input inferiori.
Si dice che in questo caso le osservazioni inefficienti
sono dominate dalle osservazioni efficienti. Al
contrario, le osservazioni che hanno la caratteristica
appena enunciata sono dichiarate efficienti; le
si può anche chiamare non dominate.
In termini formali, data una
lista di q > 0 input
appartenenti al vettore e
p > 0 output
appartenenti al vettore ,
si definisce con
il seguente insieme dei dati:
;
, ,
dove n è il numero di
osservazioni disponibili.
Si definisce come insieme delle
imprese efficienti, o FDH di ,
l'insieme formato dalle imprese efficienti, ovvero
l'insieme
ovvero come l'insieme delle osservazioni
che presentano contemporaneamente input minori
e output maggiori delle altre.
Nel caso in cui si abbia un solo
input e un solo output per il calcolo dell'indice
di efficienza, che sarà pari a 1 nel caso
di una osservazione efficiente (ovvero appartenente
alla frontiera, ovvero appartenente all'insieme
),
si determina l'insieme delle aziende dominanti
l'azienda, detto ,
per cui si vuole calcolare indice, individuata
dal pedice 0:
Determinato questo insieme si definisce come
indice di efficienza in input la quantità:
con
e come indice di efficienza in
output la quantità
con
Passando alla generalizzazione
multivariata si ha lo stesso insieme
in cui le disuguagliane esposte
sono da intendersi vere per ogni elemento dei
vettori .
Si arriva così alla definizione dell'indice
di efficienza in input generalizzato inteso come
la quantità
con
e
e come indice di efficienza in
output la quantità:
con
e
In questo modo si ha
e definire l'azienda per cui
si sta calcolando l'indice input efficiente se
e di avere
e definire l'azienda per cui
si sta calcolando l'indice output efficiente se
Il procedimento di calcolo per
arrivare alla definizione delle insieme delle
aziende dominanti, o efficienti, bisogna operare
opportune ricerche sui dati a disposizione attraverso
una comparazione delle quantità di input
e di output. Ottenuto l'insieme delle aziende
dominanti per ciascuna azienda il calcolo degli
indici è lasciato all'applicazione di semplici
algoritmi di ricerca del massimo e del minimo.
E' possibile dimostrare che partendo
dalle definizioni e dalle procedure sopracitate
è possibile arrivare a dare una definizione
degli indici e degli insiemi FDh in termini di
programmazione lineare nel seguente modo (cfr
Tulkens, Vanden Eeckaut, 1995), rispettivamente
per l'indice in input e l'indice in output:
1) Indice in input
sotto i vincoli
,
j=1,…, p
,
i=1,…, p
,
h=1,…,n
2) Indice in output l
0
max l 0
sotto i vincoli
,
i=1,…, q
,
i=1,…, p
,
h=1,…,n
La caratteristica più
interessante di questo metodo è la sua
estrema flessibilità nella determinazione
dell'insieme di aziende formanti la frontiera
di produzione. Tale aspetto lo ha fatto quindi
preferire rispetto agli altri per l'analisi di
performance nel settore pubblico per il
quale fu usato per la prima volta, cfr. Deprins,
Simar, Tulkens (1984), e in numerose altre applicazioni,
cfr. ad esempio Vanden, Eecakut Tulkens, Jamar
(1993). Un altro aspetto di pregio, che lo accomuna
con i metodi non parametrici è quello di
riuscire a trattare, agevolmente, insieme di aziende
con una pluralità di output.
Bibliografia
Deprins D., Simar L., Tulkens
H., Measuring Labor-efficiency in Post Officies,
Elsevier Science Pb. Marchant, Amsterdam, North
Holland, 1984
Gazzei D. S., Lemmi A., Viviani
A., Misure statistiche di performance produttiva:
un percorso di metodi e di evidenze empiriche,
Padova, Cleup, 1997.
Tulkens H., Vanden Eeckaut P.,
Non parametric efficiency, progress and regress
measures for panel data: Methodological aspects,
in European Journal of Operational Research,
80, 1995, pgg. 474-499.
Vanden, Eecakut P., Tulkens H.,
Jamar M.-A., Cost efficiency in belgian municipalities
in The Mesurement of productive efficiency:
Techniques and Applications edited by Fried,
Lovell, Schmidt, New York, Oxford University Press,
1993
3.
La metodologia DEA
DEA (Data Envelopment Analysis)
è una tecnica di analisi dei dati basata
sulla programmazione lineare che ha l'obiettivo
di misurare le performance di unità organizzative.
Di seguito proponiamo alcuni cenni teorici su
questa tecnica.
Lo scopo principale dell'analisi
DEA è quello di individuare, in un determinato
insieme, le aziende più efficienti delle
altre rispetto agli input e agli output
produttivi. Le aziende che, nell'insieme considerato,
risulteranno più efficienti determineranno
una frontiera di produzione usabile per quel settore
e sarà così possibile calcolare
indici di efficienza relativa anche per le altre
aziende.
Uno degli aspetti più
importanti dell'utilizzo di questo tipo di analisi
è quello di riuscire a costruire misure
di efficienza basata sulla considerazione simultanea
di più input e, soprattutto, di
più output. DEA diventa quindi una
tecnica appropriata quando le unità sono
in grado di valutare appropriatamente differenti
input e output e quando c'è
un'alta incertezza o discordanza sui valori di
alcuni input o output.
Il modus operandi dell'analisi
DEA consiste nell'utilizzo di metodi di programmazione
lineare che hanno l'obiettivo di massimizzare
la differenza o il rapporto tra output
ed input di ogni azienda dell'insieme oggetto
di studio, sotto il vincoli che per tutte le unità
dell'insieme oggetto di studio il rapporto tra
input e output sia minore o uguale
ad uno o che la loro differenza sia minore o uguale
a zero. I vincoli di massimizzazione sono dettati
dall'evidenza che ogni azienda non può
produrre un insieme di output superiore
(in quanto a quantità e a costo) all'input
(convessità dell'insieme). Il metodo DEA
fornisce una analisi completa dell’insieme di
aziende considerato dal punto di vista dell’efficienza,
confrontando simultaneamente i livelli di input
e di output di ciascuna azienda. Le aziende che
si trovano sulla superficie della funzione di
produzione individuata sono consoderate efficienti,
mentre per le rimanenti è possibile determinare
la distanza da tale superficie.
Il modello che è possibile
desumere da questa impostazione teorica può
dunque essere formalizzata nel seguente modo:
(Ali, Seiford 1993):
massimizzare
sotto i vincoli
Dove x e y sono rispettivamente
il vettore m-dimensionale degli input e
il vettore s-dimensionaledegli output dell’i-esima
azienda.
Tale problema lineare va risolto
per ogni unità dell'insieme oggetto di
studio. Il risultato porta alla determinazione
per ogni unità dei valori mi,
ni, wi noti in letteratura
come moltiplicatori virtuali, che determinano
il legame tra input ed output in
condizioni di ottimalità. Se il valore
teorico dell'output calcolato con tali
vincoli è uguale a quello effettivo, ovvero
se il punto che caratterizza l'azienda giace sull'iperpiano
determinato da
allora l'azienda è considerata
efficiente. Questo equivale a dire che una azienda,
per essere considerata efficiente deve avere come
risultato della funzione obiettivo del programma
lineare 0. Altrimenti la sua distanza da tale
profilo di ottimalità teorica può
venire considerato come distanza dalla frontiera
empirica di produzione e quindi come misura della
sua inefficienza.
Questo primo aspetto del
processo di ottimizzazione è detto problema
primale o, secondo la letteratura anglosassone,
multiplier problem, in quanto teso a determinare
i moltiplicatori virtuali che legano gli input
agli output in caso di processo ottimo di produzione.
Per ogni azienda il relativo programma lineare
determina, come si è detto i valori di
mi, ni, wi .
All'interno dell'insieme delle aziende prese in
considerazione per le analisi non ci si deve aspettare
comunque un vettore dei valori mi e
ni diverso per ciascuna di esse: diverse
aziende avranno tali valori simili.
Come è noto dalla
teoria della programmazione lineare ad ogni problema
lineare come quello utilizzato dalla nostra analisi
è associato un problema cosiddetto duale
equivalente al problema primale ( o diretto),
ottenuto trasponendo le colonne dei coefficienti
dei vincoli, nonché i coefficienti della
funzione obiettivo e i secondi membri dei vincoli,
invertendo le disuguaglianze, e minimizzando invece
di massimizzare. Per maggiori dettagli su questo
argomento classico della programmazione lineare
si rimanda a tradizionali manuali di programmazione
lineare quali Garwin, 1960 o Comincioli, 1989.
Tornando all’impostazione
dell’approccio DEA, l’approccio duale al problema
diretto consiste nella risoluzione del seguente
programma lineare:
minimizzare:
-
sotto i vincoli:
,
r=1,…,s
-,
i=1,..,m
,
j=1,…,n
,
r=1,…,s
,
i=1,…,m.
La soluzione di questo problema
per la i-esima unità consiste in
un vettore s, di dimensione s, di
deficenze di output e un vettore e di dimensione
m, di eccedenze di input. La soluzione
di questo problema fornisce quindi la ‘posizione’
di ciascuna unità la distanza dalla frontiera
empirica di produzione. Va da sé che per
le aziende efficienti i vettori e e s
sono vettori nulli.
In conclusine si può
dire che Dea sia una metodologia diretta alla
stima della frontiera empirica, piuttosto che
alla stima di una tendenza centrale come nell’approccio
paramentrico basato sulla regressione e, per ciascuna
azienda è possibile individuare, grazie
alla soluzione di quello che abbiamo chiamato
problema duale, ‘sentieri’ attraverso i quali
ogni singola azienda può muoversi per raggiungere
la frontiera di produzione.
Bibliografia
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Analysis" in "The measurement of Productive
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H.O Fried, C.A. Knox Lovell, S. S. Schmidt, New
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Comincioli, V., Metodi Numerici
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Garwin, W. D., Introduction to
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